mercoledì 3 febbraio 2010

"Salviamo l'Italiano"

"Salviamo l'Italiano", intervista ad Alessandro Masi della Società Dante Alighieri

Importante intervista della Società Editrice Fiorentina, tradizionale casa editrice di Firenze, sullo stato di salute dell'Italiano.

La lingua da salvare "L'italiano è ferito, assedio senza confini" congiuntivi stravolti e non solo. La lingua italiana soffre a casa propria e anche all’estero. La Società Dante Alighieri: va rilanciato a scuola e in Europa.
Alla fine del riquadro di spiegazione ne sarà proposta anche la traduzione in inglese, ripresa dal lemmario Italiano-Inglese del Ragazzini 2010.
«Sì, un regresso c’è. E’ in atto. Ma rispetto a quando? Se paragoniamo la situazione attuale con quella degli anni Cinquanta stiamo meglio adesso».
Alessandro Masi, classe 1960, è il segretario della Società Dante Alighieri, presieduta da Bruno Bottai. Nata nel 1889 grazie a un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci, la Società ha come fine, come recita l’articolo 1 dello Statuto, di «tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all’estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l’amore e il culto per la civiltà italiana».

L’italiano non sta bene?

«C’è un impoverimento nell’articolazione del linguaggio. Le polemiche sulla perdita del congiuntivo hanno un fondamento. Però, starei attento a distinguere i problemi. I telefonini e i computer portano a una semplificazione dei messaggi. Certe parole sono oramai scomparse o usate solo raramente. L’altra sera ero a cena con un gruppo di giovani e ho scoperto che non conoscevano il significato di vetusto. E’ uno scandalo? Non direi. Piuttosto cerchiamo di capire se si tratta di un impoverimento o di un cambiamento. Luca Serianni (consigliere della Dante Alighieri e fra i più noti linguisti e filologi italiani ndr) ha perfettamente ragione quando afferma che le lingue cambiano, si evolvono visto che mutano i tempi. Come, del resto, accade per la pittura e per altre migliaia di attività umane».
Insomma, allarmi esagerati.
«Non ho detto questo, anzi. E’ che dobbiamo spostare il tiro per cercare di centrare il vero problema. E cioè come rendere viva la cultura. Come svecchiare il nostro sistema culturale, un sistema, mi pare incontestabile, che non si connette più con la realtà».
Alle solite: la scuola arranca.
«Peggio. La scuola non fa più da ponte tra cultura e società. Assistiamo a una cesura netta tra cultura e scuola. Il giovane sente lontani certi insegnamenti. Non esiste un rinnovamento didattico. Manca l’aggiornamento. Insomma, non giochiamo nel campo dei giovani».
Quale soluzione?
«Non esiste una soluzione. Dobbiamo aggiornare gli strumenti della cultura e della comunicazione. E’ incredibile il nostro analfabetismo sull’uso di Internet. Non è un caso, insomma, se dietro di noi abbiamo solo Grecia e Portogallo e tutti gli altri Paesi europei stanno davanti a noi. Oramai i sistemi didattici viaggiano in Rete ed è lì che ci giochiamo le partite più importanti e decisive».
Ma il libro non morirà mai, sostiene Umberto Eco.
«Mi dispiace, ma non sono affatto d’accordo. E’ una posizione troppo conservatrice. E’ come se gli amanuensi si fossero ribellati alla rivoluzione di Gutenberg».
Non negherà che Internet ha pochi filtri.
«E perché, i libri sono tutti buoni e senza errori? Sia chiaro: non voglio abolire i libri di carta. Ma non è possibile continuare a ragionare con schemi passati e superati dalla realtà».
Anche in sede europea non è che le cose vadano bene. I nostri politici protestano.
«E hanno ragione. Non è ammissibile che i bandi di concorso siano scritti tutti in inglese, tedesco e francese con qualche spruzzatina di spagnolo. Noi abbiamo protestato. Come parlanti, in Europa, siamo più degli spagnoli, per esempio. Quindi è giusto dire in Commissione europea che o si smette di discriminare l’italiano o ce ne andiamo».
E all’estero?
«Siamo in buona salute. Anche perché, al di là di tutto quel che può accadere al nostro interno, il nostro Paese è visto ancora come una cosa bella. Italia uguale cultura. E questo determina il nostro successo».

di Francesco Ghidetti

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